Sacro di Birmania

Sacro di Birmania

ALLEVAMENTO E SELEZIONE MORFOCARATTERIALE DEL GATTO DI RAZZA SACRO DI BIRMANIA

VALUTAZIONE DELLA DIVERSITÀ GENETICA DEL SACRO DI BIRMANIA: RISORSE SCIENTIFICHE

genetica del sacro di birmania e salute

VALUTAZIONE DELLA DIVERSITÀ GENETICA DEL SACRO DI BIRMANIA: RISORSE SCIENTIFICHE Al termine del travagliato periodo successivo alla seconda guerra mondiale, il Sacro Birmano aveva assicurato a priori il mantenimento di una valida diversità genetica, grazie a programmi di ibridazione avviati soprattutto dalla Francia, poi programmi per l’introduzione di nuovi colori diretti principalmente dal mondo anglofono. Questo problema forse non dovrebbe essere altro che un lontano e brutto ricordo per lui. Letture lunghe e profonde dei pedigrees degli animali internazionali, oltre le tradizionali quattro generazioni, siano esse francesi, tedesche, inglesi, scandinave, nordamericane o australiane, o anche del patrimonio di paesi in cui lo sviluppo dell’allevamento felino è un fenomeno più recente, come l’Europa dell’Est, il Sud America o l’Asia, però, deluderebbero rapidamente gli allevatori inclini a pensare che il Birmano non potesse essere che una razza particolarmente agiata dal punto di vista della diversità genetica. Il primo consiste nel distinguere tra popolazione assoluta, cioè la somma puramente numerica degli individui, e popolazione effettiva (o dimensione effettiva), quest’ultima corrispondente al numero di ceppi genetici distinti che partecipano ad una popolazione. Il numero di soggetti in una razza non è necessariamente proporzionale alla sua diversità genetica. Non si tratta solo di tenere a mente le necessarie alleanze consanguinee che salvarono i birmani dopo la guerra. La consanguineità di base della razza si basa infatti su un continuum di stalloni e linee di sangue particolarmente impegnati dagli anni ’40 agli anni ’80, parzialmente diluiti da programmi storici di ibridazione e nuovi programmi di introduzione dei nuovi colori. Siamo consapevoli che lo studio dei pedigrees non è senza limiti, e non può sostituire un approccio scientifico puro e duro. Per saperne di più, dobbiamo quindi rivolgerci alla medicina veterinaria. È raro che lo studio del pool genetico di una razza sia oggetto di pubblicazioni su larga scala su base individuale, quindi attualmente non esiste un documento scientifico dedicato esclusivamente alla valutazione della diversità genetica del birmano. Tuttavia, il mondo della ricerca genetica felina è ben lungi dall’essere confinato allo sviluppo di test del DNA destinati agli allevatori, e dall’ignorare il vasto campo di studi che costituisce la genetica delle popolazioni. Le varie particolarità genetiche delle razze, i loro tassi di consanguineità, l’impatto della selezione da parte dell’uomo, e i legami che queste razze mantengono con i grandi centri genealogici ancestrali da cui traggono le loro basi sono quindi regolarmente oggetto di indagini comparative. Questi ultimi riguardano anche razze come il Singapura, il Sokoke o ancora l’Havana Brown, che ai grandi classici che ora sono il Persiano, il Maine Coon e, ovviamente, il nostro Sacro di Birmania. A dire il vero, la progettazione di test del DNA o di strumenti per la lettura del genoma felino non può essere del tutto svincolata da questo aspetto della conoscenza scientifica: l’inventario del pool genetico di una razza è in grado di guidare la ricerca relativa, ad esempio, su una malattia ereditaria, mentre questa ricerca può offrire essa stessa l’opportunità di raccogliere dati aggiuntivi sul pool genetico. Sono quindi questi due tipi di pubblicazioni che formano il corpus scientifico che abbiamo attualmente riguardo al Sacro di Birmania. I clienti abituali dei laboratori veterinari conosceranno i nomi dei dottori Leslie Lyons, Monica Lipinski e Barbara Gandolfi, noti per il loro lavoro all’interno dei team dell’UC Davis in California e dell’Università del Missouri. Oltre all’uso del gergo appropriato, questi studi possono essere di difficile accesso per gli allevatori non anglofoni, soprattutto se non conoscono i canali di pubblicazione della comunità veterinaria, motivo per cui proponiamo di presentarli in ordine di anzianità crescente. Lo studio più antico elencato in questo documento risale al 2007 ed è intitolato The ascent of cat breeds: genetic evaluations of breeds and worldwide randombred population, di Lipinski et al. Sono state esaminate un totale di 22 razze. I risultati sono piuttosto contrastanti per il Sacro di Birmania, che riceve il titolo di razza con la quinta diversità genetica più bassa. Questa osservazione, purtroppo, non sarà contraddetta da successivi lavori pubblicati fino al 2019, che descrivono alternativamente il Sacro Birmano come una razza “altamente consanguinea”, la cui ampiezza genetica ha raggiunto “un livello critico” e soggetta ad “alto squilibrio di collegamento”1. Le conclusioni dei vari articoli pubblicati negli ultimi dieci anni mostrano una certa coesione. È difficile stimare con precisione le conseguenze di questo fenomeno sulla popolazione dei Sacri Birmani a medio e lungo termine. Alcune pubblicazioni sottolineano anche il fatto che l’impatto della consanguineità su una determinata razza, su scala individuale, è un campo di ricerca che resta in gran parte da esplorare. Più in generale, nei gatti, la ridotta diversità genetica è stata identificata come responsabile di episodi di depressione da consanguineità, responsabile di aumento della mortalità, ridotta fertilità, perdita di taglia e ridotte difese immunitarie. Una cosa sembra certa: anche se non abbiamo l’autorità scientifica e intellettuale per essere allarmisti per la nostra razza, corriamo il grave pericolo, nonostante i sentimenti istintuali dominanti, di aver sopravvalutato la diversità genetica della popolazione generale. 2019 – Breed-specific variations in the coding region of TLR4 in the domestic cat, J. Whitneya, B. Haasea, J. Beattya, VR Barrs https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165242718304355 “Siamese and Birman cats showed the lowest haplotype diversity amongst the cat breeds investigated, with one haplotype distributed widely in each breed. This low genetic diversity could indicate a genomic region under strong selection, either artificial or natural. Alternatively, this result could demonstrate incomplete sampling of breed representatives or a strong bottleneck event during breed formation, resulting in a reduced genetic pool due to a low population size at the time of breed formation (Nei et al., 1975; Leroy, 2011). Further investigations are required to validate these results. The eΛect on the lack of genetic diversity in a single locus in an artiΞcially selected population such as the one in this study has not been investigated. However, an inverse relationship between population heterogeneity and disease-dependent mortality has been previously demonstrated with more (Springbett et al., 2003). Furthermore, a lack of diversity in innate immune system genes has been proposed